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  • Sergio Neddi
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Sulle tracce della Postumia: il paesaggio agricolo dalla preistoria ai romani

PARTE PRIMA - La via Postumia nel Veneto

PARTE TERZA - Le popolazioni antiche: i Paleoveneti

PARTE QUARTA - La rotta della Cucca

 

SECONDA PARTE - Il paesaggio agricolo dalla preistoria ai romani

Queste informazioni sono per la maggior parte tratte dal libro  “tesori della Postumia”, libro che illustra molti reperti e raccoglie molte informazioni in seguito al convegno internazionale degli studiosi della Postumia tenutosi a Cremona nel 1996.

Proviamo ad immaginare com’era il Veneto tanti anni fa. L’aspetto paesaggistico, così come lo conosciamo, è stato plasmato in linea di massima dalle varie glaciazioni, l’ultima in particolare. La fase post-glaciale è iniziata circa 10-15 mila anni fa. Immaginiamo quindi di trovarci proiettati in quest’epoca remota. Il luogo è sempre il medesimo, la macchina del tempo che ci ha trasportato con la fantasia nel passato ci indica che la latitudine e la longitudine sono quelle di San Pietro in Gu ma non riconosciamo nulla. O meglio, guardando bene, si… il profilo dei monti (che s’intravedono appena tra gli alberi) è quello familiare, ma un po’ dovunque la zona è coperta da boschi. La nostra enciclopedia globale tascabile, sintonizzata sull’epoca in questione, ci conferma che le analisi dei pollini hanno rivelato che dopo la scomparsa dei ghiacci il paesaggio del Veneto, fino alle colline delle prealpi, appare coperto di foreste.

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Si tratta principalmente di querceto misto, cioè di querce, carpini, olmi, ontani, pioppi e salici, i primi castagni, farnie e noci ed un sottobosco incolto di roveto e cespugli. In pianura c’è anche il tiglio, mentre ai piedi dei rilievi fa la sua comparsa l’abete bianco. Ecco che ci troviamo quindi a vagare per i boschi. Guardandoci attorno scorgiamo anche degli animali. Tra gli animali di spicco ci sono l’orso bruno, il lupo ed il cinghiale: li vediamo aggirarsi per le foreste, mentre c’incamminiamo alla ricerca di tracce umane. Già, gli uomini: quasi ce ne scordavamo, confusi dall’ambiente così diverso da quello al quale eravamo abituati. Ma come vivono gli uomini in quest’epoca? Ci sono pochi insediamenti, per lo più sparsi. Sono prevalentemente agricoltori e coltivano piccoli appezzamenti di terreno. Una produzione limitata, essenzialmente di sussistenza. I terreni coltivati sono per la maggior parte ottenuti con il fuoco: grazie ad esso vengono distrutte delle aree boschive, poi riconvertite all’agricoltura ed al pascolo. Il nostro errare ci ha portati finalmente in vista di uno di questi insediamenti, ma tentando di avvicinarci… splash… affondiamo in una zona paludosa. Da dove viene tutta quest’acqua? Bosco e palude, palude e bosco. Consultiamo con il nostro navigatore intertemporale l’enciclopedia virtuale dell’epoca post-glaciale. Interessante: nella nostra zona sta iniziando a delinearsi una caratteristica importante. Si tratta del fenomeno delle risorgive. Queste risorgive sono nate grazie al depositarsi, ad opera dei fiumi, di strati di terreno di diversa permeabilità. L’acqua, assorbita dalle vicine montagne, viene costretta a risalire verso la superficie a causa  dell’incontro con strati di terreno impermeabile. Ecco quindi la formazione di polle d’acqua, paludi, nuovi fiumi. Questa caratteristica del suolo, come vedremo, non solo causa la nascita di fiumi di risorgiva (come gli attuali Bacchiglione, Ceresone e molti altri) ma condiziona le caratteristiche costruttive e probabilmente anche la scelta del percorso della via Postumia.

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A questo punto, non potendo continuare, risaliamo sulla nostra macchina del tempo e ci spostiamo nel III millennio a.C. Qui vediamo che l’uomo ha continuato la sua opera di disboscamento per ottenere nuovi terreni agricoli e pascoli. E’ aumentata quindi la vegetazione bassa, costituita da noccioli, biancospini, pomoideae (meli, peri selvatici) ed erbe di brughiera. Dobbiamo continuare a stare attenti a come ci muoviamo in quanto le paludi sono sempre molto diffuse. Nel nostro girovagare ormai possiamo vedere molti uomini che si dedicano sia alla pastorizia che all’agricoltura. Come abitazioni hanno capanne di legno. Il legno è una materia prima indispensabile nell’edilizia ed il processo di disboscamento ne fornisce in grande quantità. Le fronde invece vengono usate come foraggio per gli animali. Il legno si usa anche come combustibile, naturalmente. Vediamo infatti che su di un falò stanno arrostendo qualcosa. Un uomo ce ne offre: è maiale arrosto. Siamo dunque testimoni della nascita di una tradizione viva ancor oggi nella nostra zona: l’allevamento del maiale. Infatti in quest’epoca le foreste di querce forniscono, in grande quantità, le ghiande che sono adatte all’alimentazione dei suini e quindi il loro allevamento ne è una conseguenza naturale.
Proseguiamo nel nostro viaggio. Purtroppo, come detto poc’anzi, il regime delle acque non è per nulla regolato. Nonostante molte zone siano abitabili, ampie aree rimangono a livello di palude e di acquitrino, soprattutto lungo le sponde dei fiumi. Per l’attraversamento si utilizzano guadi o traghetti. Approfittiamo di un passaggio su uno di essi per ritornare alla macchina del tempo e trasferirci all’inizio del I millennio a.C.. E’ qui che si registrano cambiamenti significativi, sia nel patrimonio arboreo sia nell’economia agricola e silvo-pastorale: vediamo un aumento della presenza di carpini e faggi, zone di brughiera sempre più ampie ed occupate da una fitta vegetazione di noccioli, ginepri, ericacee e conifere. Ci guardiamo intorno notando, nella bassa pianura, olmi, frassini, aceri, pioppi e salici che iniziano a venire utilizzati come sostegno per le viti maritate: l’agricoltura comincia ad affinarsi.
A questo punto con la nostra macchina del tempo ci trasferiamo finalmente in età romana, dove notiamo un’ulteriore modificazione del paesaggio (secondo le analisi polliniche ed archeobotaniche dell’ultimo ventennio). Ai boschi di querceto misto ed ai faggi si sostituiscono gradatamente specie arboree colturali, quali castagni, noci, fichi, ulivi (nelle zone con clima temperato, come sui laghi prealpini ed i Colli Euganei), finalizzate a specifici tipi di produzione agro-silvicola. E’ in questo ambiente che vediamo inserirsi il nastro basolato della via Postumia. Il territorio, secondo stime recenti, a questo punto è già disboscato al 60% e gli spazi così ottenuti vengono utilizzati per l’agricoltura. Data la romanizzazione del territorio si seguono i canoni della centuriazione. Ai nostri occhi appaiono infatti vaste aree centuriate, con la tipica suddivisione in quadrati delle varie colture: si producono segale, miglio, panico, farro, legumi ma soprattutto orzo e frumento. Veniamo a sapere che la nostra zona (San Pietro in Gu) fa parte della centuriazione di Marostica. Notiamo anche che è aumentata la produttività dei campi grazie alle migliorie tecniche degli strumenti agricoli, primo tra tutti l’aratro.
Le aree paludose, però, continuano ad occupare ancora largo spazio. Queste rimangono ai margini dell’economia, quindi non documentate dalle fonti antiche. La via Postumia, tuttavia, dovrà fare i conti anche con esse.
C’incamminiamo su di un terrapieno alto circa un paio di metri e risaliamo sulla nostra macchina del tempo per fare finalmente ritorno ai giorni nostri. Mentre decolliamo dalla via Postumia notiamo più avanti un guado sul Medoacus Major (l’antico ramo principale del Brenta). Più a sud un terrapieno con alcune baracche di legno cinto da una palizzata: il Castellaro (riferimento alla zona di San Pietro in Gu). Purtroppo non facciamo in tempo a fare una foto: ci ritroviamo ad atterrare immediatamente nell’epoca contemporanea.

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