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Monsignor Gianni Carrù: “Il restauro dell’ipogeo degli Aureli in Viale Manzoni”

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Un monumento di confine è la relazione tenuta da Monsignor Giovanni Carrù nell’ambito della Conferenza Stampa dedicata all’evento “Il restauro dell’ipogeo degli Aureli in Viale Manzoni”.

Monsignor Gianni Carrù_Un monumento di confine

Un monumento di confine
di Giovanni Carrù

La nuova sistemazione dell’ipogeo degli Aureli in viale Manzoni ha visto impegnati i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per più di un decennio. I lavori hanno rivestito un ruolo legato ai problemi statici e strutturali, con riguardo speciale per la copertura, con l’accortezza di assicurare un perfetto equilibrio del microclima degli ambienti ipogei. L’ intervento più incisivo, però, è stato il restauro dell’apparato pittorico, oggetto di un primo accurato lavoro di recupero dieci anni orsono e che, in questi ultimi mesi, è stato sottoposto a una più sofisticata pulizia con l’uso del laser, che i restauratori della Commissione stanno sperimentando in altre catacombe italiane. Ora l’ipogeo, dopo un nuovo allestimento dell’impianto di illuminazione e una sistemazione del contesto in cui è calato, risulta uno dei gioielli della tarda antichità, pronto a svelare gli affreschi appena recuperati ai visitatori che, con mille cautele, vi avranno accesso.

Il sepolcro degli Aureli, come noto, fu scoperto quasi un secolo fa dove viale Manzoni si incrocia a via Luzzati, un’area interessata da molti ritrovamenti archeologici, anche di tipo funerario, all’ interno della cinta muraria voluta dall’ imperatore Aureliano e terminata nel 273. Questo termine cronologico è utile per datare l’ipogeo nella prima metà del III secolo, come suggeriscono i materiali archeologici, i temi e lo stile delle pitture. I testi epigrafici aiutano ad attribuire l’ipogeo agli Aureli, una famiglia di liberti, che, nello scorcio dell’impero dei Severi, elaborò un pensiero religioso, in perfetta armonia con il clima culturale che si doveva respirare nella Roma del tempo. Se la critica del passato ha considerato gli Aureli come aderenti a una religione non ortodossa, ora si preferisce pensare che questa altolocata famiglia romana del III secolo con il decoro del suo monumento funerario volesse solo esprimere una cultura complessa che, senza abbandonare la civiltà pagana, ascolta le forme religiose e il pensiero filosofico proveniente dall’ Oriente. Questa sincresi religiosa testimonia anche il grado di tolleranza dei Severi durante il loro impero, infranto negli anni successivi quando Decio, Valeriano e Diocleziano, in un crescendo di violenza, innescarono le persecuzioni.

Nel programma decorativo dell’ipogeo degli Aureli, infatti, si respira un’aria di grande tranquillità e di sospesa beatitudine. Rispetto alle decorazioni delle catacombe cristiane, gli affreschi dell’ipogeo mostrano una maggiore libertà da parte dei committenti e dei pittori, proprio per il carattere privato della struttura. Questa libertà permette agli artifices di spaziare tra i temi cari all’ arte profana, con particolare attenzione ai miti e ai poemi omerici. Si incontrano, però, anche figure simboliche che, alludendo alle persone dei defunti, assumono le caratteristiche dei personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento.

Siamo di fronte a un monumento di confine, dove il pensiero pagano e il pensiero cristiano si sfiorano, dando luogo a una sorta di sincresi e suggerendo i percorsi che l’arte, da quel momento, seguirà per sfociare nel grande repertorio paleocristiano.

Per questo i responsabili della Commissione tengono tanto all’ ipogeo degli Aureli: rappresenta, infatti, l’antefatto eloquente e suggestivo di una produzione monumentale e artistica prolifica e complessa. Le catacombe sono la testimonianza più esplicita e concreta delle origini del Cristianesimo. Scomparse le prime chiese (obliterate dalle costruzioni successive), le catacombe, abbandonate già nel V secolo, sono i giacimenti più significativi dell’era paleocristiana. È così che i monumenti dei morti ci parlano della città del popolo di Dio.

Con l’ipogeo degli Aureli la parabola della cristianizzazione non ha trovato ancora la sua soluzione finale, ma presenta tutte le peculiarità di un processo culturale in divenire. L’ ipogeo, dunque, è un primo passo verso la trasformazione religiosa dell’Urbe, quando dalla temperie multireligiosa si passerà al Cristianesimo, inteso come nuova civiltà del pensiero, delle idee e dello spirito. Altri monumenti del suburbio romano mostrano i caratteri dell’ipogeo degli Aureli (si pensi all’ ipogeo dei Flavi e al cubicolo di Ampliato nelle catacombe di Domitilla), ma in questi casi i monumenti sepolcrali pagani saranno inclusi nella rete catacombale cristiana. Per l’ipogeo degli Aureli è diverso: nonostante un timido tentativo di trasformazione in catacomba cristiana, il sepolcreto abbandona presto la sua funzione funeraria, assurgendo a testimonianza privilegiata di un mondo che sta tramutando. E di una nuova era spirituale che sta sopraggiungendo.

Fonte: Radio Vaticana

 

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