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Ebola... e se arrivasse in Italia ?

Il paziente con ebola diagnosticato negli Usa è morto. Era stato ilprimo a ricevere una diagnosi di malattia al di fuori dell’Africa, e sebbene il Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) abbia provato a rassicurare la popolazione su bassi rischi corsi dagli Stati Uniti, sottolineando l’efficacia del proprio sistema sanitario in confronto a quello del continente africano, il dubbio che tutto non abbia funzionato alla perfezione rimane. Il paziente infatti dopo una prima visita all’ospedale, era stato rimandato a casa e anche le misure di screening per chi arriva dall’Africa occidentale sono sotto accusa, tanto che gli Usa stanno pensando di potenziarle per identificare possibili casi a rischio.

Ma, oltre al caso americano, a preoccupare ancor di più è il primocontagio avvenuto fuori dall’Africa, che ha portato ad ammalarsi un’infermiera spagnola che aveva assistito nel proprio paese un paziente con ebola (rimpatriato dalla Sierra Leone a sua volta). Contagio avvenuto, a quanto pare, dopo che la donna si era toccata il viso con i guanti usati per assistere il malato.

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La gestione dei pazienti da parte del personale sanitario, e le misure di protezione che questi devono attuare, sono infatti tra le fasi più delicate per gestire il rischio di contagio. Fasi su cui tornano a farsi sentire anche l’Organizzazione mondiale della sanità e il Ministero della Salute.

Dall’Oms ricordano come gli operatori sanitari dovrebbero indossare abiti a maniche lunghe, guanti, protezioni per il viso, eliminare il contatto con fluidi corporei dei pazienti così come con le superfici potenzialmente infette, inclusi vestiti e biancheria. Ma particolare attenzione dovrebbe essere prestata anche alle fasi divestizione e svestizione dai dispositivi protettivi per limitare il rischio contagio. Come? Seguendo procedure specifiche, come “rimuovere i guanti arrotolandoli dal polso, avendo attenzione a non toccare la cute; rimuovere il camice avvolgendolo dall’interno all’esterno; se si indossa un copricapo rimuoverlo procedendo dalla parte posteriore del capo; rimuovere la protezione per gli occhi procedendo dalla parte posteriore del capo; rimuovere la mascherina o il facciale filtrante procedendo dalla parte posteriore del capo utilizzando le stringhe o gli elastici di tenuta”.

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Anche il ministero della Salute è tornato a porre l’accento sulle corrette misure di gestione dei dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari, con una circolare emessa lo scorso 1 ottobre, dove si legge: “Qualora si effettuino delle attività clinico assistenziali con un elevato rischio di contaminazione (es. paziente con diarrea, vomito, sanguinamenti e/o in ambiente contaminato in modo significativo) è opportuno utilizzare il doppio paio di guanti, il copricapo e i calzari. I guanti vanno cambiati quando presentano o si sospettano danneggiamenti o rotture. Igienizzare sempre le mani prima di indossare un nuovo paio di guanti. Evitare per quanto possibile qualsiasi procedura che possa generare aerosol. Se è necessario effettuare interventi che possano generare aerosol, quali ad esempio somministrazione di farmaci con nebulizzazione, broncoscopia, bronco aspirazione, intubazione, ventilazione a pressione positiva, il personale sanitario dovrà indossare un facciale filtrante FFP2 (FFP3 nei casi probabili o confermati) a protezione delle vie respiratorie”.

Istruzioni per addetti ai lavori, cosa avverrebbe nel caso in cui un paziente potenzialmente infetto bussasse alle porte dei nostriospedali? Sempre dalla circolare arrivano le indicazioni sulla gestione di un paziente che si presenti in una struttura ospedaliera con febbre superiore ai 38°C o con storia di febbre nelle ultime 24 ore e che abbia visitato un paese a rischio o sia venuto in contatto con un malato di ebola negli ultimi 21 giorni (il tempo di incubazione del virus).

In primo luogo (insieme all’adozione dei dispositivi di protezione individuale da parte del personale sanitario) verrebbe disposto l’isolamento del paziente, al quale verrebbe fornita mascherina e gel alcolico per l’igiene delle mani. Dopo di che il personale sanitario si metterà in contatto col reparto di malattie infettive di riferimento per concordare il trasferimento del paziente (adottando tutte le misure di precauzione previste per il trasporto in ambulanza, come per esempio uso di mascherine, la disposizione di un telo impermeabile sul lettino, e la decontaminazione del mezzo al termine del trasferimento ).

Dopo di questo il paziente viene preso in carico dall’infettivologo del centro, il quale si accorda con i colleghi dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e dell’Azienda ospedaliera Luigi Sacco di Milano (i centri di riferimento nazionale) sulle modalità di gestione del paziente e dei prelievi di materiale biologico per confermare il caso sospetto. Nell’attesa delle diagnosi (da verificare adottando misure di sicurezza adeguate per il prelievo e la gestione dei campioni nei laboratori) il paziente rimane isolato e gli operatori sanitari che vi interagiscono applicheranno tutte le precauzioni standard, da contatto e da droplets. Se la diagnosi è positiva infine il paziente verrà trasportato presso lo Spallanzani di Roma o il Sacco di Milano, adottando le indicazioni per il trasporto in alto biocontenimento.

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